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INTERVISTA A DINO ATTANASIO
di Bepi Vigna
D. Attanasio con Bepi Vigna
Da qualche anno, in Italia sembrano essersi dimenticati di lui, eppure Dino Attanasio è senza dubbio uno dei grandi maestri del fumetto europeo, prolifico sia nel campo delle storie realistiche che in quelle umoristiche.
In Belgio gode ancora di una vasta popolarità: viene chiamato spesso come ospite nelle trasmissioni televisive e invitato a mostre e rassegne sul fumetto.
Nato a Milano, l’otto marzo del 1925, dopo aver studiato all’Accademia di belle Arti, ha iniziato a lavorare nel cinema d’animazione, prima in Italia poi in Belgio, dove si è trasferito nel 1947. A partire dagli anni Cinquanta ha legato il suo nome a tantissime serie di fumetti apparse sia su "Tintin" che su "Spirou": Fanfan et Polo, Les belles histoires de l’Oncle Paul, Modeste et Ponpon, Bob Morane. Il grande successo è arrivato nel 1956 con il Signor Spaghetti, che divenne ben presto uno dei personaggi più popolari in Belgio. Le storie di Spaghetti, tradotte in numerosi paesi del mondo, non sono mai apparse in Italia.
Un pomeriggio del 1997, ho incontrato Dino Attanasio al Centre Belge de la Bande Dessinée, a Bruxelles e siamo diventati grandi amici, tanto che nel 1999 ho organizzato una sua mostra a Roma, nell’ambito del Salone Internazionale del Fumetto. Ecco di seguito il resoconto di quella nostra prima chiacchierata.
BV: Si ricorda quando ha iniziato a disegnare?
DA: Presto, molto presto. Da bambino leggevo i fumetti degli anni trenta: Flash Gordon, Mandrake, L'Uomo Mascherato e, anche se ero molto piccolo, conoscevo tutti gli autori italiani dell'epoca: Albertarelli, Molino, Moroni Celsi. Apprezzavo anche molti cartellonisti, come per esempio Bocasile. Ho deciso di fare fumetti perchè ciò mi consentiva di restare bambino. All'inizio era un lavoro che prendevo molto alla leggera, come fanno spesso i giovani, non lo consideravo una cosa seria.
BV: Negli Anni Trenta e Quaranta lei abitava a Milano.
DA: Sì, c'ero nato, ma come quasi tutti i veri milanesi avevo una madre nata a Cagliari, un padre di Bari e una nonna di Udine. Ho frequentato l'Accademia di Belle Arti e per un certo periodo ho fatto l'artista. Andavo in giro con cavalletti e pennelli e mi dedicavo alla pittura classica. Il mio desiderio era, però, quello di disegnare i fumetti. Un mio amico conosceva Petronio, un disegnatore che sul "Cartoccino" disegnava Bomba e Zimbo e che poi ha lavorato anche per il "Corriere dei Piccoli". Petronio aveva un piccolo studio, a casa sua, dove, in maniera molto artigianale, realizzava dei cartoni animati pubblicitari. Io andai a trovarlo e iniziai a lavorare con lui. Avevo quindici o sedici anni. Più tardi Petronio vene chiamato a dirigere una grossa società di produzione, la I.M.A. Film, che fece poi La Rosa di Bagdad, con Domenghini, Zamperoni, Scudellari. C'erano anche Faustinelli, Carcopino, che era un grande pittore, Damiano Damiani, che poi è diventato regista. Lavoravamo tutti alla I.M.A. Film e io ero uno dei più giovani. Eravamo pieni di entusiasmo e l'uno imparava dall'altro. Volevamo conquistare il mondo, e credo che in un modo o nell’altro tutti abbiamo combinato qualcosa di buono.
BV: Quali sono stati i primi fumetti che ha realizzato?
DA: Durante gli anni della guerra, quando non arrivavano più le storie americane, c'erano piccoli editori che pubblicavano giornaletti di quattro o otto pagine che si vendevano nelle stazioni e nei chioschi. Roba che costava poche lire, senza prestese artistiche. Io ho iniziato a pubblicare i miei primi fumetti su quegli albi. Mi ricordo un titolo: I figli del Gange, delle edizioni Conte. Ma in genere erano avventure con bambini eroici, storie di propaganda molto diffuse in quegli anni.
Subito dopo la guerra, invece ho disegnato le storie di Gianni e Pinotto. Lavoravo insieme a mio fratello ed altri amici, come Pedrazza, l'autore di Akim. Intorno al 1945 ho lavorato anche per Tea Bonelli, disegnando alcuni episodi di Furio Mascherato. Io allora facevo ginnastica artistica, infatti poi venni selezionato per le Olimpiadi del 1948. La signora Bonelli mi chiese di ospitare nella mia palestra il figlio Sergio, che all'epoca aveva dodici o tredici anni. Per qualche tempo venne a fare ginnastica da me.
BV: Quando ha lasciato l'Italia?
DA: Nel dopoguerra, come molti altri giovani, desideravo girare il mondo. Così, nel 1947, sono venuto qui in Belgio, dove ho subito trovato lavoro in una società pubblicitaria di disegni animati. Questa società non aveva un suo studio e io e mio fratello ne creammo uno. Abbiamo realizzato una ventina di cartoni animati. In quel periodo ho anche avuto modo di fare varie conoscenze nell'ambiente editoriale. Allora era tutto più facile, non c'erano molti disegnatori ed il lavoro non mancava.
BV: Degli Anni Cinquanta cosa si ricorda?
DA: Una delle mie prime collaborazioni è stata con "La Libre Belgique", che nella pagina dedicata ai ragazzi pubblicava delle tavole di fumetti. Insieme a me c'era Victor Hubinon: lui faceva Tiger Joe, personaggio realistico, e io facevo Fanfan et Polo, umoristico. Quando i disegnatori sono aumentati, è nato il supplemento "La Libre Junior". In quegli anni ho realizzato anche molte illustrazioni per i libri pocket Marabout e varie storie dell'Oncle Paul, della Dupuis. Oncle Paul era una serie popolarissima che è durata trent'anni e mi ha impegnato a lungo. Dopo ho iniziato a lavorare a Bob Morane. Facevo illustrazioni e copertine per i romanzi di Henri Vernes, che avevano molto successo tra i ragazzi e mi venne in mente di proporre all'editore di farne dei fumetti. Realizzai una tavola di prova e l'idea fu accettata. Le prime storie apparvero su "Femme d'aujourd'hui", un giornale che aveva una tiratura di un milione di copie. Ho disegnato cinque storie di Bob Morane, poi ho abbandonato la serie perchè ho preferito accettare le offerte del settimanale "Tintin". Per "Femme d'aujourd'hui" ho realizzato anche dei racconti illustrati con il testo in didascalia: la storia di Faucette e la Conquista dell'Everest. Quest'ultima è stata poi riutilizzata, da poco, in una trasmissione televisiva.
BV: Lei ha collaborato anche con "Le Petit Belges".
DA: Sì, è vero. E' stato quando ho smesso di fare il cinema pubblicitario. Forse fu un'errore abbandonare i cartoni animati, ma quando si è giovani si ha sempre voglia di cambiare. "Le Petit Belge", che era il giornale cattolico dell'abazia di Averbode, per me è stato un vero trampolino di lancio. Tra l'altro, la rivista ha assunto successivamente proprio il titolo di "Tremplin". Ho fatto varie storie di carattere storico e didattico. In quegli anni io passavo con estrema disinvoltura dal disegno realistico a quello comico-caricaturale, solo dopo mi sono specializzato nelle storie umoristiche.
BV: E veniamo al periodo di "Tintin".
DA: Per "Tintin" ho disegnato le storie del Signor Spaghetti, di Modeste e Pompon, di Jimmy Stone. Spaghetti ha avuto un successo formidabile da queste parti. Ricordo che mi invitavano in tutti i ristoranti italiani. All'inizio il personaggio era una sorta di Charlot, un emigrante che cercava di arrangiarsi in tutti i modi. Poi gli affiancai una spalla, il cugino Prosciutto, e i due divennero una coppia comica, un po' come Oliver e Hardy. Spaghetti è stato tradotto in dieci lingue, ma con mio grande dispiacere non è mai apparso in Italia. Il "Corriere dei Piccoli" voleva pubblicarlo, ma c'era la difficoltà di tradurre il francese italianizzato che parlava il personaggio. Si era pensato di sostituirlo con un dialetto, ma poi non se e ne fece niente.
BV: I testi di Spaghetti li scriveva Renè Goscinny
DA: Sì, lui e Uderzo erano venuti in Belgio per cercare lavoro. A quei tempi Bruxelles offriva agli autori di fumetti maggiori prospettive di Parigi. Goscinny era un tipo straordinario, dotato di una grande sensibilità. Io gli feci vedere le prime tavole del personaggio e gli chiesi di scrivermi le sceneggiature.
BV: Lei ha lavorato anche con due altri grandi sceneggiatori: Charlier e Delporte.
DA: Con Charlier ho fatto Fanfan et Polo. Allora era giovane e ancora magrissimo. Era un uomo di grande fascino... "charmer", come dicono in Francia. Non si perdeva mai d'animo. Una volta si accorse di aver perso una ventina di tavole di sceneggiatura, ma non se ne preoccupò affatto. Disse solo: "Pazienza, dopo le riscriverò". Charlier ha fatto una grande carriera, ha curato anche dei reportage per la televisione Francese. Delporte era un originale. Di lui posso dire solo questo. Abbiamo lavorato insieme, ma non si è mai stabilito un rapporto. Preferisco non aggiungere altro, perchè magari gli farei un torto.
BV: Negli Anni Sessanta inizia la sua collaborazione col "Corriere dei Piccoli".
DA: Quello è stato un periodo felice, la realizzazione di un sogno che avevo coltivato fin dall'infanzia. Io ero a Milano ed ero passato per caso alla redazione del "Corriere della Sera". Volevo solo salutare degli amici, ma la segretaria mi disse che non era possibile, che dovevo prendere un appuntamento. Allora io me ne andai, un po' dispiaciuto e offeso. Alcuni redattori, però, mi corsero dietro, mortificati, dicendomi che da tempo stavano cercando di contattarmi. Qualche tempo dopo, Carlo Triberti e Giancarlo Francesconi vennero addirittura in Belgio per chiedermi, tra mille cautele, di lavorare per loro. Questo fatto mi riempì d'orgoglio. Per il "Corriere dei Piccoli" ho fatto Ambrogio e Gino (su testi di Triberti), Gianni Flash (scritto da Duval) e Il colonnello Squilla, una serie di cui, trattandosi di storie brevi, ho scritto anche le sceneggiature. Ho il rammarico che queste storie non siano poi state sfruttate al meglio. Ho proposto diverse volte di fare degli albi di una quarantina di pagine, ma a quanto pare non interessavano nessuno. Le storie che mi scrivevano non avevano mai una lunghezza fissa, a volte erano di vent'otto tavole, altre volte di trentadue. Questo fatto ha poi comportato dei problemi quando qualche editore belga si è interessato ai personaggi.
BV: Che tipi erano Triberti e Francesconi?
DA: Triberti sembrava un professore e si considerava già vecchio, anche se non era poi così anziano. Francesconi era un giornalusta estroverso, senza protocollo, molto simpatico e bravo. Ricordo che quando dovevo fare una storia di Ambrogio e Gino ambientata a Milano, mi accompagnò personalmente alla Scala, facendomela scoprire dall'interno, fin nei minimi dettagli. Poi mi procurò un sacco di foto sulle vecchie case milanesi.
BV: Chi ricorda dei suoi colleghi disegnatori del "Corriere dei Piccoli"?
DA: Non molti, perchè io venivo a Milano una volta al mese. Ricordo Cimpellin che faceva un genere di fumetti simili ai miei. Quando ci incontravamo facevamo sempre delle lunghe chiacchierate. Pratt, invece, non l'ho mai incontrato.
BV: Negli Anni Sessanta lei realizzò un altro personaggio, Johnny Goodbye, creato per il mercato olandese.
DA: L'idea non era mia, ma dello sceneggiatore Martin Lodewijk. In Olanda ne sono usciti una ventina di episodi, undici albi. Dargaud ne ha pubblicato quattro in Francia. Il protagonista era un detective americano, all'epoca del proibizionismo. Credo che abbia ispirato Berk e Cauvin, gli autori di Sammy, un personaggio molto simile che ha raggiunto una maggior popolarità. Per l'Olanda ho fatto anche altre cose: le storie di Bandonéon (un cow-boy argentino) e quelle della squadra di calcio dei Macaronis. Il protagonista di quest'ultima serie era un gangster che voleva far vincere a tutti i costi la squadra di un paesino italiano. Come per il Signor Spaghetti anche in questo caso cercavo di sfatare certi luoghi comuni sugli italiani, svalutando il significato negativo di certi supposti difetti.
BV: Parliamo degli ultimi lavori che ha realizzato: le riduzioni del Decameron e del Satyricon.
DA: Il Decameron è una vecchia idea, nata ai tempi della scuola, che son riuscito finalmente a realizzare. Ho trovato un editore che voleva pubblicare dei classici della letteratura a fumetti e io gli ho proposto il Boccacio. I testi me li ha scritti mio figlio Alexandre. Ho iniziato anche una riduzione del Satyricon di Petronio, ma poi l'editore Lefrancq ha chiuso e così ne ho sospeso la realizzazione. Ma credo che lo finirò lo stesso.
BV: E' soddisfatto della sua carriera?
DA: Sì, quando provo a fare un bilancio di ciò che ho fatto, sono soddisfatto. E poi ho avuto il piacere di conoscere tanti "grandi", come Hergé, Jacobs, Jijé, Franquin, Goscinny. Ho conosciuto perfino Walt Dinsey!